Startup blockchain e ICO tra sperimentazione e PoC ai Digital360 Awards 2018

La testimonianza di 4 startup: B2Lab, Chainside, Fiduxa e UniquID attive in diversi settori e l’analisi di Andrea Gaschi, associate partner P4I e Riccardo Mantero, esperto di ICO e business developer

Pubblicato il 28 Ago 2018

Blockchain digital360 Awards 2018

E’ difficile parlare di blockchain senza affrontare anche il tema startup e, nello stesso tempo, è sempre più frequente occuparsi di nuove imprese che nascono “da” o “con” la blockchain. O quanto meno che ne sfruttano le potenzialità di sviluppo. Insomma, dal binomio blockchain-startup escono sorprese sempre più interessanti, sia come nuove idee di business, sia come opportunità e modelli di sviluppo. Anche per questa ragione in occasione dell’edizione 2018 dei Digital360 Awards si è voluto attuare un confronto con quattro startup attive in diversi settori, con l’analisi e il contributo di due esperti di blockchain e di fenomeni legati alla blockchain come l’ICO.

La testimonianza delle startup e la visione degli analisti

Le quattro startup coinvolte sono B2Lab, Chainside, Fiduxa e UniquID attive rispettivamente: negli ambiti degli smart contract e dello sviluppo di progetti blockchain e per la formazione (B2Lab); dei wallet innovativi per criptovalute (Chainside); della gestione di curricula e delle risorse per HR sulla blockchain (Fiduxa) e della digital identity nell’Internet of Things (Uniqid).

Grazie alla testimonianza di queste startup si potranno ascoltare storie di innovazione molto diverse con l’obiettivo di disegnare lo scenario della blockchain in Italia, per comprendere la portata innovativa delle startup e gli ambiti e i processi sui quali si sta muovendo la blockchain.

La lettura e l’analisi dei fenomeni è arrivata con in contributo di Andrea Gaschi, Associate Partner di Partners4Innovation e con Riccardo Mantero, Blockchain & ICO expert e Business Developer.

Il panel

Il panel della tavola rotonda dedicata a startup, blockchain e ICO ai Digital360 Awards 2018 (da sinistra verso destra): Andrea Gaschi, Riccardo Mantero, Gabriele Sabbatini, Giuseppe Cardinale Ciccotti, Giuliano Pierucci e Donatella Maisto
  • Andrea Gaschi, Associate Partner, Partners4Innovation
  • Riccardo Mantero, Blockchain & ICO expert e Business Developer
  • Giuseppe Cardinale Ciccotti, CTO & VP of Engineering, UniquID
  • Donatella Maisto, Responsabile Area B2B, Fiduxa
  • Giuliano Pierucci, CEO & Founder B2Lab e Presidente ABIE
  • Gabriele Sabbatini, Business developer & Blockchain Consultant Chainside

Blockchain: siamo nell’Era della sperimentazione e dei PoC 

Andrea Gaschi, Associate Partner, P4I

Andrea Gaschi, Associate Partner, Partners4Innovation

In un momento di hype come quello attuale, è facile che qualunque rappresentazione di come sta evolvendo il mondo blockchain tenda comunque ad enfatizzare una crescita. In particolare Andrea Gaschi porta l’attenzione sul tema dei progetti e presenta un grafico con le attività progettuali che le imprese hanno già avviato o dichiarano di voler avviare in una “foto” aggiornata a marzo 2018. Gaschi sottolinea che cresce la componente degli annunci, nel 2017 e nel 2018 ovviamente, rispetto al 2016, rappresentando così anche l’ansia e la fretta di voler sperimentare questa tecnologia (vedi a questo riguardo il servizio Osservatorio Blockchain 2018: crescono del 73% i progetti)

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La numerosità dei progetti è in significativa crescita e il trend degli annunci denota un forte interesse – Fonte: Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger Politecnico di Milano, 2018

Ma chi sta muovendo verso la blockchain?

Più della metà dei progetti oggi sono relativi al mondo finance, anche perché sono le prime realtà che si sono sentite messe in discussione da questo tipo di modelli, i primi che hanno sentito la minaccia del bitcoin come strumento di (eventuale) sostituzione della loro presenza sul mercato. E da quella prospettiva di “concorrenza” è arrivato lo stimolo ad agire. Poi tutti gli altri settori, che pesano decisamente di meno, i valori assoluti sono più piccoli, ma è anche vero che tutti gli altri hanno notevoli crescite, tutti si stanno muovendo per colmare questo gap.

Il settore Finance rappresenta oltre la metà dei progetti, ma gli altri settori stanno crescendo molto velocemente per colmare il gap – Fonte: Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger Politecnico di Milano, 2018

Se si guarda anche a come i progetti sono partiti rispetto agli ultimi due anni, si vede come fino alla metà del 2017 l’insieme di tutti gli altri settori era quasi irrilevante rispetto al finance e al digital banking, e invece dalla seconda metà del 2017 in poi cominciano a crescere in dimensioni anche di peso complessivo rispetto alla numerosità totale. Vuol dire che dal quel momento in poi anche tutti gli altri hanno colto questa opportunità e si stanno muovendo in questa direzione.

Ma cosa stanno  facendo queste realtà? Quali sono gli ambiti, i processi a cui i vari progetti si applicano?

Andrea Gaschi, Associate Partner, Partners4Innovation

Da un certo punto di vista andrebbero tolti quelli che sono gli ambiti specificatamente finance (come ad esempio: capital market, supply chain finance, una “fetta importante dei pagamenti digitali). Tanti altri ambiti, soprattutto quelli più diffusi, hanno un impatto potenzialmente molto trasversale, come ad esempio i processi di tracking, la tracciabilità nella supply chain,  il data e document management. Ci sono poi altri ambiti, poco numerosi, ma con un potenziale molto grande, come ad esempio i temi dell’identity management decisamente ancora in fase di esplorazione, ma con grandi potenzialità o le transizioni legate al trasferimento di proprietà di asset.

Che piattaforme si utilizzano?

Emerge una netta preponderanza delle piattaforme di blockchain private e uno scarso uso di quelle pubbliche. Per quale ragione? Quali i motivi di questa scelta/direzione? Il fatto che con le blockchain private è molto più semplice, anzi sono molto adatte per replicare quelli che sono i modelli che noi conosciamo già nella realtà consolidata. Tipicamente si replica uno scenario, una gestione di un processo, come è stata fatta fino ad oggi. Non c’è la necessità, come nel caso delle blockchain pubbliche, di una specifica innovazione a livello di governance.

La scelta si orienta soprattutto verso Blockchain private, con le quali è più semplice replicare modelli di business esistenti – Fonte: Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger Politecnico di Milano, 2018

Effetto disruptive, ma non immediato

E questa è una delle sfide che abbiamo davanti, proprio perché la blockchain come tecnologia non ha un effetto disruptive immediato sui processi e sui settori, ma sembra avere tutte le caratteristiche per essere una tecnologia in grado di creare le fondamenta per una trasformazione futura. La verità è che oggi probabilmente non abbiamo trovato ancora quelli che sono gli ambiti di applicazione e le modalità perché questa trasformazione sia effettivamente concreta.

Per questa ragione è giusto sperimentare. Siamo in un momento in cui è importante provare a sporcarsi le mani, a costruire qualcosa di nuovo, proprio col tentativo di conoscere quelle applicazioni che avranno quell’effetto disruptive che ci aspettiamo. Non è semplice però; per esempio nella tracciabilità i progetti di successo ancora non ci sono, ovvero non sono completi. Il motivo non è tecnologico, ma da addebitare alla mancanza di ridistribuzione di valore all’interno della filiera. Senza una corretta rivisitazione dei modelli di ridistribuzione del valore nelle filiere, la blockchain rischia di non portare nessun beneficio.

Se si costruiscono meccanismi nuovi e diversi di ridistribuzione del valore tra tutti gli attori della filiera, allora si potrà assistere a un effetto dirompente. Ci sono tuttavia ancora tanti ostacoli da superare (a vari livelli: di organizzazione, di impianto sociale, sul piano normativo, in ambito tecnologico), ma oggi è giusto mettersi in campo e giocare la propria partita.

Siamo di fatto nell’Era della sperimentazione e anche per questo è importante analizzare uno dei fenomeni oggi più “caldi” che arrivano dalla blockchain e che si muove negli ambiti della sperimentazione: l’Initial Coin Offering o ICO.

 

Effetto ICO: innovazione tra crowdfunding e investment

Riccardo Mantero, Blockchain & ICO expert e Business Developer

Riccardo Mantero, Blockchain & ICO expert e Business Developer

L’ICO o Initial Coin Offering è certamente uno degli hype del momento. La blockchain ha favorito, incoraggiato e permesso lo sviluppo di un fenomeno che promette di portare innovazione anche al livello di gestione degli investimenti in nuove imprese.

Nata per finanziare dei progetti sostanzialmente tecnologici che facevano uso di blockchain e criptovalute l’ICO è diventata nel 2017 una delle modalità più innovative (e per certi aspetti più remunerativi) per finanziare startup. Un modo che consente (per certi aspetti facilmente e rapidamente) di raccogliere fondi senza limiti di tempo e di spazio, ovvero contemporaneamente in tutto il mondo. Come una sorta di crowdfunding, che non ha limite sulla cifra che si può raccogliere. Ad esempio Telegram è stata protagonista di una ICO che raggiunto un miliardo e 700mila dollari.

L’ICO è così diventata un modo molto innovativo per raccogliere fondi. Ma è importante guardare all’ICO con alcune accortezze. L’ICO deve essere realizzata in modo che la cryptomoneta emessa non sia assimilabile a una “security”, ovvero non deve rappresentare una forma di equity investment della società (in altre parole è importante che si operi sempre con utility token), in modo che si possano raccogliere fondi per un servizio che verrà reso disponibile dalla nuova impresa.

Token, un esempio che viene dal passato

Per capire cosa sono i token e come funzionano si può fare riferimento a un bell’esempio che ci arriva dal passato, quando (chiamandoli semplicemente – in italiano – gettoni) li utilizzavamo regolarmente, ogni giorno. L’esempio è quello della SIP, ovvero della “vecchia” Telecom e dei gettoni telefonici che servivano per ottenere un servizio molto concreto: la chiamata telefonica. Il gettone era un token e aveva un valore di 50 lire.

Oggi una ICO ha, per certi aspetti, un approccio molto simile. Se si riesce ad emettere dei token che servono per usufruire di un servizio, la società “incassa” gli investimenti, può utilizzare quelle risorse senza contrarre nessun obbligo nei confronti di chi ha l’investimento (differentemente dagli IPO, dove gli obblighi naturalmente ci sono) se non quello di rendere poi disponibile il servizio a chi sarà pronto a pagarlo con il proprio token, ovvero spendendo l’asset di valore che ha acquistato in fase di ICO.

E così come accadeva con il vecchio gettone della SIP, anche in questo caso il token può essere scambiato in ragione del suo valore intrinseco. Un gettone SIP aveva un valore riconosciuto di 50 Lire, anche se non era “emesso da una autorità bancaria centrale”. In assenza di una moneta corrente di 50 Lire da parte dei clienti i negozianti accettavano di essere pagati anche con gettoni e lo accettavano perché avevano la certezza di rimettere poi in circolazione quella “moneta” o meglio quell’”asset di valore”. Dunque, il gettone, nato per l’erogazione di un servizio (la telefonata dalle cabine pubbliche) era diventato un asset utilizzato anche per la gestione di piccole transazioni a prescindere dal fatto che fossero finalizzate alla gestione di telefonate.

Se poi, e questo è uno dei punti di attenzione, la società titolare del servizio e protagonista dell’emissione, decideva, legittimamente, che il valore della telefonata non era più assimilabile a un gettone di 50 Lire bensì a un valore di 100 Lire e conseguentemente “aumentava” il valore del gettone, ecco che chi aveva acquistato un certo numero di gettoni (non per un investimento, ma in previsione magari di fare molte telefonate) si trovava ad avere lo stesso valore in termini di “quantità di servizi telefonici”, ma un valore raddoppiato in termini di “asset di valore” da utilizzare “sul mercato” come possibile “moneta” di scambio.

Riccardo Mantero, Blockchain & ICO expert e Business Developer

Il token delle ICO può, con le dovute accortezze, essere assimilato al gettone della SIP. Se chi lo emette lo fa in ragione di un servizio che può essere acquistato grazie al token, si ritrova con un investimento (molto sano) fatto da soggetti che intendono utilizzare quel servizio o che credono nel valore di quel servizio al punto da acquisire tanti “gettoni” per utilizzarlo o per “venderli” ad altri che potranno utilizzarli.

In molti paesi oggi questa cosa non è normata, e quindi viene visto anche e soprattutto come un modo per raccogliere (in modo relativamente facile) investimenti. ma se è vero che il fenomeno dell’ICO viene visto con grande interesse non si deve nascondere che porta anche non poche perplessità. Oggi tutti i paesi cominciano a normare, in particolare la Svizzera con leggi ben precise. Sta insomma emergendo la necessità di dare una governance più chiara e condivisa a questo fenomeno.

Il tema della Blockchain consente dunque di fare innovazione sotto il profilo delle tecnologia, dei modelli di business e, come abbiamo visto, dell’accesso ai finanziamenti.

Ma vediamo adesso proprio alla concretezza di realtà di startup che sono sul mercato e che hanno scelto di lavorare sulla Blockchain.

 

Digital identity anche nell’Internet of Things con UniquID

Giuseppe Cardinale Ciccotti, CTO & VP of Engineering, ‎UniquID

Giuseppe Cardinale Ciccotti, CTO & VP of Engineering, ‎UniquID

Uniquid è una startup americana con una sede a San Francisco, ma con un cuore e una “testa” tutti italiani. Giuseppe Cardinale Ciccotti racconta il percorso di UniquID. La startup è partita con l’idea di rendere sicuro il riconoscimento end-to-end di oggetti virtuali o fisici, perché ci si è resi conto che l’intermediazione delle persone nelle transazioni era fatta tramite oggetti, e con user ID password o certificati si era in grado di identificare le persone, ma non gli oggetti. Identificando gli oggetti avremmo un nuovo strumento di identificazione anche per le persone. I dati mercato legati all’evoluzione dell’Internet of Things ci hanno dato “conforto” (leggi il servizio: Osservatorio Industria 4.0: Industrial IoT, Analytics e Cloud Manufacturing spingono il mercato a 2,4 Mld con un +30%) perché ci saranno miliardi di oggetti fra 10 anni e nessuno oggi ha ancora i mezzi, la soluzione per identificarli. Crescerà con la diffusione dell’Internet delle cose anche la domanda di “identità” e di identity managament, ovvero di gestione di queste identità associate alle cose. Perché ci saranno sempre più oggetti autonomi nell’ambito dell’Industry 4.0 e dell’Intelligenza artificiale. Abbiamo quindi scelto di dare vita a una soluzione di identity management per l’IoT.

Come funziona UniquID

Analizzando tutte le varie possibilità nella gestione dei dati ci si è resi conto di avere in mano le chiavi per sbloccare la gestione del dato. Se si conosce l’oggetto e si gestisce le permission su quell’oggetto, si ha il controllo totale, raffinato e preciso del singolo dato. E quindi si può lavorare anche su attività complesse, come ad esempio la gestione di un sensore che manda dei dati su cloud a provider e a servizi diversi (solo per fare degli esempi: dati verso un’automobile connessa, con informazioni riservate per la casa automobilistica a livello di diagnostica e con altre informazioni, sempre riservate, per le compagnie assicurative). Questo oggi non è ancora possibile. Per quale ragione? Perché occorre installare a bordo degli oggetti certificati del singolo gestore di servizio; il che significa che ogni singolo attore deve creare la sua propria specifica “scatola nera”, con un impegno notevole per i costruttori di autoveicoli in termini di progettazione e con un impegno di gestione altrettanto notevole per tutti gli altri operatori che lavorano sui dati.

Il grande tema del controllo dei dati

Questa situazione ovviamente non può reggere sul lungo periodo. In seconda istanza occorre considerare che chi origina il dato non ha nessun controllo, perché l’oggetto è di proprietà di chi utilizza l’informazione finale. In altre parole il consumatore che ha il possesso (o che paga per il servizio) reso dalla vettura, non ha la gestione dei propri dati. Quindi chi ha un’automobile connessa, non ha il controllo del dato, ne ha un beneficio, che in taluni casi può essere minore rispetto a quello del provider. La situazione si può invece ribaltare nel momento in cui si lavora su una tecnologia “agnostica” (ed è qui che entra in gioco l’idea di UniquID), che si pone come una soluzione che non “appartiene” a “nessuno”, che è completamente open-source, e che permette agli utenti di riappropriarsi dei propri dati. A livello aziendale UniquID necessita di un framework che permette di “switchare” i dati sotto il controllo dei soggetti che sono coinvolti nei progetti (ad esempio i consumatori finali e i proprietari di un bene). Per gestire questo sistema sul mondo enterprise, o ad esempio nell’ambito delle utility con decine di milioni di apparti e di utenti o ancora nel mondo Telco anche qui con milioni di apparati e di utenti, si è resa necessaria la identificazione di una struttura capace di gestire questi carichi e che fosse nello stesso tempo accessibile anche in termini di costi.

L’approdo alla blockchain

Giuseppe Cardinale Ciccotti, CTO & VP of Engineering, ‎UniquID

Da questa ricerca si è arrivati alla blockchain. In concreto UniquID è partita dall’IoT, per risolvere una esigenza di gestione delle identità degli oggetti. Per questo c’era la necessità di un’infrastruttura flessibile e scalabile e dunque alternativa ai tradizionali sistemi centralizzati, che hanno difficoltà ad essere scalabili e che possono arrivare a gestire “milioni di data entry”, mentre qui si parla di ordini di grandezza dell’ordine di miliardi. Inoltre un sistema centralizzato esprime un forte bisogno di protezione, mentre nel caso dell’IoT rischia di avere poco senso pensare a una centralizzazione del dato e della protezione. Prima di tutto perché non tutti gli oggetti IoT sono sempre connessi (come ad esempio nel caso delle auto connesse) e poi perché l’IoT è per definizione sul “territorio”, distribuita.

Anticipare l’Edge Computing

Da qui è emersa anche la necessità di lavorare a livello di Edge computing e UniquID ha per certi aspetti anticipato questo trend. Ma si è anche posta la domanda di come garantire che l’Edge Computing fosse effettivamente accessibile e gestibile partendo da pochi elementi: un device con un identificatore univoco, il dato crittografato dalla blockchain, i metadati, e naturalmente le tipologie di servizi in chiave SaaS per garantire e mantenere la massima flessibilità.

Le relazioni con le aziende

Ma che tipo di relazioni vengono attuate con le aziende che in questo momento pensano a progetti di identity management con la blockchain?

Giuseppe Ciccotti sottolinea che UniquID si muove su due direttrici e due punti di forza:

  1. L’esperienza del team, unico in Italia, che lavora da 3 – 4 anni sui temi dell’identità digitale dell’IoT e dell’identity management sulla blockchain. Il team lavora con i CTO e in generale con le strutture tecniche fornendo consulenza tecnica, ovvero provvedendo a erogare tutte le informazioni per i decisori per permette di capire qual e la strategia giusta sulla blockchain, privata o pubblica.
  2. Con un supporto per aiutare le aziende a realizzare concrete sperimentazioni utilizzando il framework UniquID.

In questi due modi UniquID permette di pilotare in maniera veloce le attività progettuali e i PoC per capire come utilizzare la blockchain e cosa ci si può fare.

 

La factory blockchain di B2Lab

Giuliano Pierucci, CEO & Founder B2Lab e presidente ABIE

Giuliano Pierucci, CEO & Founder B2Lab e Presidente ABIE

B2Lab è una factory, un centro di competenze che da 4 anni opera sul terreno della blockchain. Ma l’esperienza in realtà arriva da molto più lontano. Pierucci è attivo dal 2004 negli ambiti delle TLC e dell’ICT in generale, e si è poi concentrato solo sulla blockchain perché convinto dell’elevata potenzialità di questa tecnologia. B2Lab essenzialmente è attiva oggi su tre ambiti e su tre tre tipologie di servizi:

  1. Costruzione di piattaforme e applicazioni con due piani di azione
    1.  bloki per la gestione delle identità digitali, asset, link di proprietà tra asset e propietà e il cambio di proprietà di un asset da un’identità digitale ad un’altra, completamente basata su smart contract e funzionante su blockchain
    2. Certy: per certificare i contenuti digitali in originale sulla blockchain. Con applicazioni reali in campo che si possono utilizzare e vedere
  2. Smart contract: intendendo con questo etrmine un codice informatico, un programma più o meno complesso residente su tutti i nodi della blockchain e come tale protetto da qualsiasi rischio di contraffazione. Un codice affidabile che nel momento in cui facciamo eseguire un’attività/algoritmo sappiamo che non può essere contraffatto finché non si decide di attivare il blocco dello smart contract stesso. E se si vuole fare una modifica è necessario costruire o comunque modificare il codice dello smart contract in un ambiente di sviluppo e ricaricare un altro smart contract. Questa premessa per sottolineare gli aspetti legati alla sicurezza e alla gestione e per ribadire che questo è il reale vantaggio di una blockchain. Su queste basi B2Lab realizza smart contract ed è attiva nell’ambito della consulenza, aiutando imprese e organizzazioni a progettare e realizzare nuovi modelli, più efficaci, dal punto di vista tecnico e organizzativo. Consulenza significa anche aiutare alcune realtà a valutare la fattibilità di un algoritmo ed eventualmente considerare lo di smart contract legati a quella organizzazione. In questo ambito si colloca anche la realizzazione di PoC con il supporto ai decisori di valutare se la blockchain è integrabile nei loro processi di business e in tal caso in quale forma e con quale metodologia.
  3. Education: c’è un forte bisogno in Italia di conoscenza della tecnologia Blockchain. B2Lab eroga un corso di formazione in e-learning che spiega quali sono i fondamentali delle tecnologie blockchain e come una tecnologia blockchain può essere utilizzata attraverso le diverse filiere di business, riportando anche dei casi effettivi e reali dello scenario internazionale. Education significa portare la conoscenza della blockchain ai decisori affinché possano valutare se e come utilizzare la tecnologia blockchain nei propri progetti di business.

 

Cosa fa l’Associazione Italiana blockchain Imprese ed Enti

Giuliano Pierucci, CEO & Founder B2Lab e Presidente ABIE

ABIE è l’associazione italiana blockchain imprese ed enti; vuole costituire un punto d’incontro tra quelle che sono le tecnologie e tematiche blockchain e l’ecosistema delle realtà blockchain costituito dalle pubbliche amministrazioni, dalle imprese e dai vendor di tecnologia. ABIE è attiva da inizio 2018 e si sta differenziando rispetto da altre associazioni per la visione laica della tecnologia blockchain. La blockchain è un approccio mentale, una forma di visione della decentralizzazione, della fiducia, della capacità di federare competenze. Abie vuole essere svincolata da una visione tecnologica per costituire un punto di integrazione e di incontro tra i diversi attori e un punto di riferimento per i regolatori e le amministrazioni, ovvero per chi è chiamato a gestire la digitalizzazione del Paese.

 

Fiduxa: la blockchain per la gestione delle risorse umane

Donatella Maisto, Responsabile Area B2B, Fiduxa

 

Donatella Maisto, Responsabile Area B2B, Fiduxa

Cambiamo completamente scenario ed entriamo nel mondo delle risorse umane. Donatella Maisto, Responsabile Area B2B racconta che incontrando i co-founder di Fiduxa è entrata in questo mondo sentendo prima di tutto un grande entusiasmo. nell’ambito delle risorse umane si verificano puntualmente una serie di criticità, prima fra tutte, in fase di selezione, ci si deve confrontare con il fatto che ciò che viene scritto nei curricula non sempre corrisponde perfettamente alla realtà. La verifica di queste informazioni comporta tempo e risorse. Ci si dovrebbe poi affidare a soggetti esterni e anche questo presenta dei costi. Alla luce di questa situazione, e con l’intento di portare innovazione in questo settore, nasce Fiduxa, una blockchain startup.

Fiduxa  si muove come un gruppo internazionale con l’obiettivo di dare la possibilità a tre attori principali di disporre di una nuova forma di trust nell’ambito delle risorse umane:

  1. i job seeker
  2. i responsabili HR
  3. il mondo government

Tutti attori che possono tra l’altro di comunicare tra di loro attraverso la nuova piattaforma.

Ognuno di questi attori ha un’esigenza diversa, ma sostanzialmente sono legati dalla necessità di disporre di dati verificabili e certificati e dalla necessità di creare network; Fiduxa ha aggiunto anche il mondo government che appare più come un’esigenza di livello internazionale, e che parte dalla necessità di acquisire personale con certificazioni omologate a determinati standard per garantire maggiori certezze alle scelte delle organizzazioni.

Ognuno dunque ha esigenze diverse: i Job seeker devono comunicare dati trasparenti:, gli HR manager devono acquisire dati trasparenti e il mondo government ha bisogno di disporre di dati certi e di garantire che i dati condivisi dalle imprese siano “garantiti”.

Le certificazioni universitarie

Il primo ambito dove si possono riscontrare delle esigenze di uniformità è quello delle certificazioni universitarie; per questo Fiduxa si sta muovendo in questa direzione, perché è un ecosistema dove gravitano diversi soggetti e per permettere una corretta ed efficace azione di matching occorre creare una struttura che abbia il proprio asse sulla fiducia, che può essere basata appunto sulla blockchain.

Fiduxa ha iniziato con Cimea, Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche che fa capo all’Unesco e che è supportato dal MIUR per quel che riguarda l’Italia e che punta a garantire la tracciabilità, ma soprattutto la mobilità dei job seeker all’interno e all’esterno dell’Italia e dell’UE. Con il Cimea Fiduxa ha creato una piattaforma di tipo “white label” cui si è aggiunta l’Università di Pisa in collaborazione sul progetto Educational Connective indirizzato a fornire garanzie agli studenti stranieri che arrivano in Italia con la possibilità di avere una tracciabilità dei propri titoli di studio e al tempo stesso anche quella di tutti i titoli di studio degli studenti italiani. Il prossimo passo sarà quello di creare un accordo con le associazioni che raccolgono le università del bacino mediterraneo.

Chainside: blockchain, bitcoin e user experience nei pagamenti

Gabriele Sabbatini, Business developer & Blockchain Consultant Chainside

Gabriele Sabbatini, Business developer & Blockchain Consultant Chainside

Chainside opera in uno dei settori più vivaci della blockchain e uno dei primi a fare sperimentazione e a portare in produzione progetti concreti: il settore finanziario. Chainside si occupa di pagamenti con l’obiettivo di rendere il payment con i bitcoin più semplice. Il target della startup è rappresentato dai merchant; tramite una tecnologia sviluppata internamente dal 2015 Chainside ha iniziato a dare vita a una soluzione per “comunicare” con la blockchain dei bitcoin. Da quel momento l’obiettivo è sempre stato quello di rendere i pagamenti in bitcoin un credito più friendly. Nel 2017 Chainside ha partecipato – e vinto – a un hackathon. Gli obiettivi e i vantaggi che l’implementazione dei pagamenti in bitcoin possono rendere al business sono rappresentati dall’assenza di chargeback, l’impossibilità di frodare il business, la velocità dei pagamenti. Inoltre, per certi aspetti, Bitcoin oggi può essere vista come risorsa di valore, unita a vantaggi come il “marketing effect”, grazie a wallet, portfolio (per la conservazione degli asset, di cui i customer hanno le proprie chiavi private), wallet multi firma e possibilità di abbattere i 10 minuti di latenza tra un pagamento e l’altro. Chainside ha poi sviluppato una app per l’ecommerce, per l’utilizzo nel mondo business “fisico”, grazie alla quale i retailer possono accettare pagamenti anche senza essere online. Grazie alla scannerizzazione di un QR code. Per il mondo ecommerce Chainside offre l’implementazione della gestione dei pagamenti in bitcoin.

Dai progetti alla consulenza

Gabriele Sabbatini, Business developer & Blockchain Consultant Chainside

Chainside dopo aver creato queste tecnologie ha deciso di utilizzarle anche per attività di consulenza con la realizzazione di servizi e di smart contract. Sotto questo profilo sono stati realizzati due concept differenti. In un primo caso si tratta di una soluzione per il trasferimento di asset digitali a basso costo e nel secondo di soluzioni per la tracciabilità.

La scelta strategica di Chainside è quella della “semplificazione”. Portare l’usabilità e garantire la sicurezza: insistere su questi due elementi perché il bitcoin inteso come Electronic Cash Sistem ad oggi resta molto complesso, le persone potrebbero avere difficoltà e il nostro obiettivo è proprio quello di garantire la user experience più friendly al fine di favorire l’adozione e lo sviluppo di soluzioni basate sui bitcoin.

Chainside  ha già implementato i pagamenti in bitcoin su 3500 taxi di una cooperativa romana e sta lavorando ad accordi per l’implementazione su tutti i taxi in Italia.

Riccardo Mantero in conclusione sull’ICO

Riccardo Mantero, Blockchain & ICO expert e Business Developer

L’ICO porta ancora sentimenti contrastanti: entusiasmo da una parte, grande curiosità ma anche timore per affrontare situazioni ancora non regolamentate. Certamente l’Initial Coin Offering può accelerare il fenomeno di innovazione nelle startup, ma solo se la startup fornisce un servizio vero, che ha una funzione di business o sociale chiara e comprensibile. Non deve cioè essere un servizio costruito apposta per raccogliere investimenti, come purtroppo sta accadendo in diverse situazioni.

 

Andrea Gaschi sulla sperimentazione e sui PoC

Andrea Gaschi, Associate Partner, Partners4Innovation

La blockchain è ancora nella fase della sperimentazione e dei Proof of Concept. Non ci sono ancora dei veri modelli di successo consolidati e chiari, ma se non si prova non se ne vedranno mai. C’è poi la difficoltà di accedere a un mercato di competenze che sul tema della blockchain non sono così tanto diffuse; il modo migliore e meno rischioso per mettere le mani su questa tecnologia è andare a cercare qualcuno con cui sperimentare.

La strada del cercarsi e provare, dei Proof of Concept per testare se la blockchain può effettivamente servire, se può funzionare e nello stesso tempo per “formare” delle competenze  è una possibile soluzione. Così pure la collaborazione con le startup nell’ambito blockchain è una delle direzioni di innovazione che conviene provare a percorrere.

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