La blockchain e la cosiddetta democratizzazione

La tecnologia a registri distribuiti, a partire da quella di Bitcoin, è strettamente legata a concetti di organizzazione sociale decentralisti. Un’analisi delle criticità dal punto di vista della decentralizzazione del sistema di consenso

Pubblicato il 31 Ago 2021

Riccardo Nigro

dottore in Diritto per le Imprese e le Istituzioni, Studente in giurisprudenza, Università di Torino.

blockchain democrazia

La tecnologia blockchain risulta strettamente correlata con i sistemi di consenso e di regolamentazione sociale: chiaro è il suo stretto legame con filosofie anarcoidi e decentraliste[1]. La disintermediazione è uno degli scopi fondamentali che i suoi realizzatori si sono posti come obiettivo da raggiungere. L’unica regola accettata, infatti, è il codice del software: l’accettazione dello stesso crea il sistema e ne permette la sussistenza e le transazioni restano autonomia privata, non essendo possibile (o meglio, essendo difficilmente possibile) l’incursione di terzi in essa[2]. È chiaro che questo scopo viene quasi perfettamente raggiunto dalle blockchain permissionless-Bitcoin style. Tuttavia, nonostante gli aneliti di democrazia assoluta che circondano questa tecnologia, si possono ancora riscontrare alcuni fattori di disuguaglianza e subordinazione che si celano dietro ai meccanismi di funzionamento della blockchain.

L’oligopolio della Proof of Work che esclude la democrazia

Uno dei maggiori problemi dei sistemi blockchain basati sulla Proof of Work (tra cui quella bitcoin) è che, da protocollo, la capacità di calcolo richiesta è via via maggiore, per cui saranno necessarie maggiori risorse per poter ambire alla ricompensa prevista per i miner. E più risorse saranno necessarie, maggiore sarà la difficoltà di accesso al sistema. Si evince che anche nelle blockchain pubbliche l’elevatissimo livello di democrazia, di libertà di accesso e disintermediazione teorizzato è molto difficile da raggiungere, se non in modo parziale. Nel caso specifico di Bitcoin, la tendenza dei nodi minatori ad aggregarsi in “consorzi”, detti mining pool[3], al fine di mettere in comune la potenza di calcolo, è ormai più che praticata. Ne consegue un accentramento sempre più forte di grosse capacità computazionali che limita il libero accesso degli aspiranti nodi minatori e danneggia gli esistenti nodi indipendenti con capacità di calcolo più modeste.

Tutto ciò naturalmente si ripercuote sulla democraticità del protocollo di consenso. Questa tendenza al monopolio (meglio oligopolio) è tipica di ogni blockchain che sfrutti la Proof of Work come sistema di fiducia: se un mining pool riuscisse a raggiungere il 51% della potenza di calcolo di tutto il sistema è chiaro che tutto ciò che permette il funzionamento e l’adozione della blockchain cadrebbe nel nulla. Da un sistema che fa della libertà e della decentralizzazione il fulcro della sua stessa esistenza, la blockchain passerebbe a un sistema centralizzato e “dittatoriale”, tutt’altro che una democrazia.

Quanto consuma la blockchain

Attualmente questo rischio risulta essere minimo nelle blockchain che possiedono un hashrate[4]elevato come Bitcoin mentre per blockchain minori, invece, questo tipo di criticità democratica è già emersa. In gergo tecnico si dice di essere di fronte a un 51% attack.

Messo da parte il rischio del 51% attack, anche sul normale funzionamento di blockchain di questo tipo si possono fare ulteriori rilievi sul tema in questione. Non tutti i partecipanti del sistema hanno “lo stesso potere di parola” sul network. Infatti, come esposto sopra, anche se è vero che ogni computer può essere un nodo, non tutti i computer possono essere un nodo minatore o se possono esserlo non è detto che abbiano la stessa influenza di altri miner. Per esempio, nel codice della blockchain di Bitcoin non è presente nessuna menzione circa una distribuzione egualitaria delle risorse computazionali. L’influenza sul protocollo di consenso è determinata dagli investimenti fatti nel modo reale dal minatore al fine di raggiungere un elevato potere computazionale[5], investimenti che creano un non trascurabile impatto ambientale.

Per massimizzare i profitti è chiaro che i grandi miner fanno uso di energia elettrica a basso costo prodotta con metodi non ecologicamente sostenibili (energia prodotta utilizzando combustibili di scarsa qualità provenienti da paesi che non rispettano le normative ecologiche). Per farsi un’idea, le stime dicono che per il 2021 il consumo di energia elettrica della blockchain di bitcoin sarà di 147,33 TWh, dato comparabile con quello del consumo di energia elettrica della Malesia. Per quanto riguarda il consumo energetico il problema si potrebbe risolvere utilizzando energia proveniente da fonti rinnovabili e sostenibili, sebbene più difficili da reperire, se non in paesi con costi più elevati.

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I protocolli open source

Un’ultima importante osservazione da fare è che i codici delle blockchain utilizzano spesso protocolli open source, ovvero accessibili e modificabili da chiunque: potenzialità che, nella teoria, crea una maggiore decentralizzazione, ma che, in sostanza, non viene applicata in quanto il codice utilizzato è stato scritto e viene revisionato da un numero di pochissimi sviluppatori in confronto al numero di tutti i partecipanti al network[7]. Questo di fatto mette in una posizione subordinata chi semplicemente utilizza l’infrastruttura digitale, accettando il codice software.

Conclusioni

In conclusione, si può sostenere che questa tecnologia, al netto delle precedenti osservazioni, garantisca sicuramente un buon livello di disintermediazione e sicurezza informatica. Non si può, però, affermare di essere dinnanzi a un sistema perfetto con la blockchain, in cui è garantito a ogni partecipante di avere realmente le medesime possibilità degli altri, ossia a una democrazia. Nonostante, infatti, la visione cryptoanarchica che ha spinto gli sviluppatori nel programmare questa tecnologia, anche nella blockchain di bitcoin si riflettono quelle disuguaglianze di potere che caratterizzano il mondo reale.

Tuttavia, sfruttando le diverse peculiarità di questa tecnologia si possono sviluppare sistemi molto diversi fra loro, sia dal punto di vista dello scopo d’utilizzo, sia dal punto di vista della quantità di decentralizzazione voluta con applicazioni molteplici e variegate: ad esempio, la rivoluzione nell’ambito dei sistemi di pagamento attuata dalla piattaforma Bitcoin o anche la possibilità di programmare software decentralizzati per l’esecuzione di termini contrattuali (smart contract) grazie al sistema Ethereum.

  1. Soprattutto per quanto riguarda i sistemi permissionless.
  2. Stefano Capaccioli, Smart contracts: traiettoria di un’utopia diventata attuabile, in Ciberspazio e diritto, vol. 17, n.55 (1/2 – 2016), pagg. 25-45, pag. 32.
  3. Per l’elenco dei mining pool esistenti: https://www.blockchain.com/it/pools
  4. Per hash rate si intende l’unità di misura della potenza di elaborazione della rete Bitcoin. Per fini di sicurezza la rete Bitcoin deve eseguire delle operazioni matematiche intensive
  5. William Magnusson, Blockchain Democracy: Technology, Law and the Rule of the Crowd, cit., pag. 45.
  6. William Magnusson, Blockchain Democracy: Technology, Law and the Rule of the Crowd, cit., pagg. 45-46.

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