I servizi basati su geolocalizzazione nell’era della blockchain: quali scenari

Il grande potere delle piattaforme internettiane sulle quali sono basati molti degli attuali servizi tramite geolocalizzazione, come Uber, Google, Airbnb, Amazon, rischia di essere ridimensionato dall’avvento del blockchain.

Pubblicato il 24 Gen 2020

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Il “sistema” blockchain promette di essere in grado di ridimensionare con ampio margine il “potere” delle piattaforme internettiane sulle quali sono basati molti dei servizi attuali offerti tramite la geolocalizzazione, come Uber, Google, Airbnb, Amazon, Alibaba, tanto per citare i principali.

L’identità nel futuro sarà anche digitale ed è presumibile che, tramite la blockchain, il tracciato di credibilità professionale potrà rendersi indipendente da quelle piattaforme che oggi erogano i servizi, auspicabilmente aumentando il grado di affidabilità della garanzia, che diventerà trasparente e accessibile a tutti.

In principio era la geolocalizzazione

Storicamente le più rilevanti innovazioni tecnologiche sono state gli input di altrettante rivoluzioni economiche e hanno spalancato l’orizzonte allo sviluppo di scenari nuovi e inediti. A sua volta, un nuovo scenario economico chiama sul palcoscenico nuovi attori la cui stessa presenza – siano lavoratori o imprenditori – ridisegna la mappa e le interconnessioni tra le categorie sociali.

Nel tempo di Internet tali interconnessioni, oltre che permanere fisiche, hanno assunto anche la forma virtuale, significando l’allargamento della rete socioeconomica a una dimensione globale.

In termini di mercato, tale processo ha capovolto la prospettiva tradizionale: non è più così importante avere il “prodotto” giusto, quanto identificare il consumatore idoneo. Ciò perché la connessione planetaria ha l’incredibile effetto di rendere “mercato appetibile” anche le minoranze, perché ne amplia le possibilità di rappresentanza: l’esiguità di una tipologia atipica in un contesto limitato e geograficamente circoscritto può al contrario divenire significativa, non proporzionalmente bensì numericamente, in un contesto di globalità. Una buona e abbondante casistica genererà una statistica la quale, trattandosi non di una previsione bensì di una scienza, ci permetterà di ragionare in macro-numeri con una discreta certezza.

Facciamo un esempio concreto legato a quanto sin qui detto: l’invenzione del geolocalizzatore. Sebbene l’opinione pubblica parzialmente sottostimi tale tecnologia, essa ha rappresentato una scintilla propulsiva che può trovare paragone nella macchina a vapore o nell’elettricità.

Nel passato ci si affidava al cielo e alle stelle per determinare la nostra posizione. In verità erano pochi coloro che sapevano farlo mentre oggi, grazie alla diffusione dei sistemi GPS attivi su vari device, chiunque può individuare con discreta certezza il luogo in cui si trova. Ciò comporta anche la possibilità di essere raggiunti da un’infinità di servizi, e dunque di prodotti, specificatamente legati alla propria posizione nello spazio geografico. La mappatura di Google è in grado di proporci i ristoranti più vicini, le farmacie, i musei e così via. Specularmente noi, in quanto potenziali clienti, in quel momento siamo rilevanti proprio per dove ci troviamo, perché con la medesima azione ci interfacciamo con realtà commerciali stabili.

Il geolocalizzatore, dunque, non è affatto estraneo al mercato connesso. Per fare un esempio ampiamente conosciuto si pensi alla piattaforma di Uber, che ha saputo magistralmente intrecciare i fili di queste esigenze e di queste opportunità.

Uber, una storia di successo

La società nasce nel 2009 da un’idea di Garett Camp e del suo collaboratore Travis Kalanick, in principio denominata UberCab e di seguito semplicemente Uber, con un investimento iniziale di soli 250mila dollari. Il successo è immediato e già l’anno seguente, nel 2010, la start-up è valutata 4 milioni di dollari.[1]

La mission e il goal della società risiedono sostanzialmente nell’opportunità di mettere in connessione passeggeri e autisti tramite un’applicazione mobile; inoltre ai clienti viene offerto il servizio di rilevare in tempo reale la posizione dell’auto prenotata e successivamente di rilasciare un feedback sulla qualità del servizio.

Il successo della società è virale ed esponenziale. Grazie al perfezionamento dell’applicazione su smartphone, datato 2011, la società attira grandi investitori che incrementano il capitale con cifre da capogiro e così, in brevissimo tempo, Uber registra uno sviluppo e una diffusione planetari che fanno storia: nel 2017, quindi a soli otto anni dalla nascita, opera in 77 paesi e in 616 città al mondo. Nel 2019 viene lanciata una Ipo che raccoglie 8,1 miliardi di dollari.

Ma in che cosa consiste effettivamente il business e il vero patrimonio di Uber? Certamente in un’abilità manageriale efficace, e certamente in una struttura amministrativa ineccepibile, ma il vero tesoro in due parole è informazione e connessione.

Oltre la sharing economy

Queste due realtà, che in qualche modo caratterizzano la nuova era che sta uscendo dal capitalismo così come lo abbiamo sempre conosciuto, hanno in comune la struttura di base, cioè la rete Internet. In principio si è parlato di sharing economy ma, a dire il vero, il monopolio che le piattaforme internettiane hanno via via conquistato rischia di tradire le aspettative insite nel nome.

Non esistono nella capitalizzazione di questi colossi proprietà fisiche: riflettendo Uber mette in rete auto altrui per chi cerca un servizio di mobilità cittadina; Airbnb mette in rete case altrui per chi cerca un indirizzo dove pernottare; Amazon, Alibaba, Ebay mettono in rete prodotti altrui per chi vuole acquistare; Google mette in rete informazioni altrui e così via.

La novità, rispetto al passato, è che il valore di queste aziende non ha corrispondenza nel bene materiale (macchinari, brevetti, produzioni ecc.) bensì nel bene intangibile della piattaforma che, sempre più facilitata dai Big Data – ovvero dalle raccolte di informazioni che generosamente rilasciamo –, è idonea alla connessione e all’erogazione di un servizio, dunque capace di avviare l’interazione fra richiedente ed esercente.

Qual è il ruolo in entrata e in uscita di queste piattaforme? Nel periodo del digitalismo la loro struttura consente la trasmissione di informazioni con la specializzazione per “tipo”. In uscita c’è l’identificazione del fruitore, ovvero di colui che cerca un prodotto (un servizio taxi, una casa per le vacanze, un condizionatore consegnato a domicilio e così via), un punto di partenza implementato dalle tracce che lasciamo in maniera forse non del tutto consapevole nel corso delle nostre ricerche in rete e che vengono rielaborate tramite i Big Data. L’adesione a un certo servizio garantisce al cliente una sorta di “appartenenza” e l’idoneità del servizio erogato deriva dall’appartenenza a quella specifica piattaforma.

Ma rispetto a sistemi così capillarmente diffusi a livello globale quali sono le garanzie sulle informazioni che concernono l’erogazione dei servizi e coloro che li erogano? In buona sostanza, il principio fondante è che la nostra economia numericamente e quindi statisticamente – a parte la percentuale limitata delle azioni dei veri disonesti, quelli che Carlo M. Cipolla chiama i “perfetti banditi”[2] – è caratterizzata dall’esigenza di ripetere in modo corretto la prestazione erogata per sopravvivenza. Da questo punto di vista, che è economico, il sistema dei feedback può compromettere, o al contrario è suscettibile di ampliare, il nostro futuro e l’identità individuale tracciata dalle piattaforme.

L’importanza dei feedback

Ma è del tutto vero? E quali sono le reali garanzie del fruitore? Sempre riferendoci al caso di Uber, al quale ricorriamo per pura semplificazione, vi è un’attenta valutazione in sede di registrazione, finalizzata a identificare nei limiti del plausibile un’identità certa e registrare le maggiori informazioni possibili su auto e conducente. In verità il controllo e la bontà del servizio erogato saranno di fatto affidati esclusivamente alla storia successiva dei feedback lasciati dai clienti, che costituiranno il profilo personale del driver. In tal senso merita un punto d’onore il report che Uber ha pubblicato in riferimento al biennio 2017-2018 sul numero degli incidenti e dei comportamenti deplorevoli avvenuti nel corso del servizio. Ciò a riprova che la necessaria griglia d’accesso per l’identificazione non è esaustiva ai fini di un controllo di sicurezza a priori, e questa valutazione è valida per qualsiasi piattaforma di appartenenza, visto che le dinamiche di garanzia di controllo sono le medesime per tutti.

Dando per scontato che vi sia connessione fra esercente e cliente tramite geolocalizzazione, concentriamoci su questo secondo valore che le piattaforme pretendono di offrire, ovvero la credibilità: se sono rintracciabile tramite Uber allora sono un autista con credibilità; se sono rintracciabile tramite Airbnb allora sono un affittacamere con credibilità; se vendo tramite Amazon, Alibaba, Ebay sarò un esercente credibile. In realtà, come abbiamo già detto, il controllo e la bontà del servizio erogato sono riconducibili al riscontro dei feedback dei clienti, che costituiranno la storia personale e il vero profilo dell’autista, dell’affittacamere, dell’esercente e del venditore.

Prendendo ad esempio il mondo di Ebay, anche nel mercato dell’usato in cui gli attori non sono necessariamente professionisti la credibilità è tutto e si costruisce tramite lo storico dei comportamenti, che la piattaforma raccoglie e diffonde pubblicamente. Gli instancabili tentativi dei venditori, soprattutto professionisti, di mettersi al riparo dai giudizi negativi palesano di per sé l’importanza essenziale di questo criterio.

Ma, di nuovo, la tecnologia scompagina le certezze di ieri e crea nuovi panorami. Il “sistema” blockchain potrebbe far mutare gli scenari; potrebbero nascere consorzi per categoria di appartenenza strutturati su catene di blockchain aperte e pubbliche che in qualche modo riusciranno a limitare lo strapotere, ormai tentacolare, dei monopoli internettiani.

Ovviamente permangono pro e contro, perché il tallone d’Achille del sistema che si sta profilando sarà quello di una vera società del controllo ma, per la sua complessità, questo aspetto ha bisogno di un capitolo a parte di approfondimento.

  1. Cfr. A. Lashinsky, Wild Ride: Inside Uber’s Quest for World Domination, Portfolio, 2017.
  2. In C.M. Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna 1988, passim.

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