Polkadot, Bitcoin, Ethereum: il 2021 potrebbe essere l’anno delle criptovalute

Bitcoin, Ethereum, Polkadot: quali sono le differenze fra le principali criptovalute basate su tecnologia blockchain? Su quali meccanismi funzionano? Quali sono le loro quotazioni di mercato?

Pubblicato il 09 Feb 2021

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La tecnologia blockchain si sta affermando sempre di più. Diverse sono le tipologie utilizzabili in base alle necessità, ma anche le problematiche: come possono, per esempio, comunicare blockchain diverse? Ad esempio, se una è permissioned e l’altra permissionless, oppure sono entrambe permissionless ma hanno un token diverso? Oppure, come vedremo nel caso di Ethereum, come si possono evitare congestioni sulla rete, dovute alle numerose transazioni che avvengono ogni secondo? A queste problematiche fornisce una risposta il progetto Polkadot, dietro al quale c’è anche Gavin Wood, co-founder di Ethereum. Un segnale di garanzia, poiché è l’inventore di Solidity, il linguaggio di programmazione alla base di criptovalute come Ethereum e ha coniato il termine web 3.0, nel “lontano” 2014, anno in cui ha previsto il successo dell’ecosistema smart contract.

Il progetto Polkadot

Interoperabilità e scalabilità sono i concetti alla base del funzionamento di Polkadot, criptovaluta dal nome curioso (in inglese infatti significa “pallino a pois”), che si rifà proprio alle sua struttura.

Blockchain di tipo consecutivo e parallelo a confronto

Circa le analogie con Ethereum 2.0, esse sono evidenti: mentre la blockchain di Vitalik Buterin implementa le shard chain, Wood ha optato per delle catene multiple, definite parachains; queste sono collegate rispetto alla blockchain principale, il cuore, definita relay chain.
Quest’ultima è stata sviluppata su Substrate, un distillato di Parity, che è alla base di progetti come Ethereum e Bitcoin. Inoltre, il progetto Polkadot è compilato con Wasm, ovvero web assembly, linguaggio molto performante, il migliore possibile per lo sviluppo di tali infrastrutture. Non a caso, le maggiori compagnie tech, tra le quali Apple e Google, lo stanno approfondendo e utilizzando su diversi progetti.

Sulla base di questi elementi è pacifico sostenere che il progetto di Wood utilizzi la migliore tecnologia esistente al momento.

Ulteriore elemento, rispetto a Ethereum 2.0, sono i bridge: questi permettono alle parachains di Polkadot di interagire con blockchain diverse e indipendenti, come ad esempio Bitcoin o Ethereum. Una grande novità nel mondo della crittografia.

Molto interessante è la prima caratteristica, ovvero l’interoperabilità: Polkadot facilita lo scambio di informazioni tra diverse tecnologie e tra diverse blockchain, siano esse pubbliche o private, anche in presenza di smart contract. Di fatto unisce varie tecnologie, diverse tra loro, crea un’infrastruttura per tutte le blockchain; può essere paragonata all’HTML, che permette a siti, browser, server, di interagire su Internet in modo del tutto trasparente e omogeneo.

C’è chi lo definisce “l’Internet della blockchain”.

All’atto pratico significa poter trasmettere dati attraverso blockchain permissioned e permissionless: ciò consente di creare applicazioni trasversali, che operano anche tra blockchain pubbliche e private.

Sul sito ufficiale di Polkadot, per fare un esempio, si afferma che una scuola privata potrebbe mandare prova di un diploma attraverso smart contract, su una blockchain pubblica e che un ipotetico ministero, quindi, potrebbe collegarsi a questa blockchain privata per verificare l’autenticità e la veridicità del diploma.

E se una blockchain non necessitasse di uno scambio continuo di informazioni, ma di un flusso molto più lento? A risolvere tale situazione ci sono i parathreads, concettualmente vicini alla parachain, ma secondo un modello pay-per-use.

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Relay chain, parachain e bridge

Dal punto di vista della governance, la blockchain di Wood è forkless, immune quindi ai fork, ritenuti fonte di pericolo. Questo significa che le decisioni sono e saranno prese da tutta la comunità, dagli utenti del network, senza possibilità di fork.

Inoltre, l’ecosistema Polkadot è estremamente ricco, grazie a una serie di progetti inerenti smart contract, IoT, privacy, gaming, DeFi, ecc…

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Ecosistema Polkadot

Tale ecosistema è molto particolare; vincolare un progetto su questa infrastruttura significa impegnare una parachain, la quale consuma delle risorse. È intuibile che il numero di slot da mettere in comodato d’uso per chi vuole integrare progetti in Polkadot sia limitato, poiché le parachain non sono infinite. Per aggiudicarsi uno slot vengono fatte vere e proprie aste dai partecipanti; la prima parachain sarà davvero funzionante e impiegata entro il primo semestre del 2021.

Chi si aggiudica l’asta per una parachain, si assicura la fruibilità per un periodo di due anni, al termine dei quali le possibilità sono due: o il progetto viene rinnovato, oppure lascia spazio a uno nuovo. Vincere l’asta comporta vincolare un importante numero di token DOT in uno smart contract, per ottenere il “comodato d’uso” della parachain.

Un progetto che non ha tutti i fondi a disposizione può comunque avere diritto di partecipazione, grazie alla parachain lease offering, che consente a qualsiasi soggetto di offrire i suoi DOT, finanziando un progetto reputato valido, vincolandoli secondo le modalità appena descritte. L’investitore riceve in cambio diritti, vantaggi o token stessi.
Scaduto il periodo, l’investitore deciderà se vincolare di nuovo i suoi DOT, oppure se riprenderli indietro. In questo momento ci sono molti progetti che stanno nascendo e vengono prima testati su Kanary Network, nota come Kusama, testnet di Polkadot. Si tratta di un ambiente in cui i progetti, prima di approdare su polkadot, vengono deployati e testati in modo puntiglioso e approfondito.

È facilmente intuibile che questa blockchain sia basata su un meccanismo di consenso PoS, che garantisce agli utenti un 12% annuo sui DOT in staking.

Brevi cenni sulle altre criptovalute e loro quotazioni

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Bitcoin

Era il 3 gennaio del 2009 quando venne alla luce il primo blocco nella blockchain di Bitcoin: basata su un meccanismo di consenso denominato proof of work (PoW), vennero estratti col primo blocco i primi 50 bitcoin.

Dopo nove giorni avvenne la prima transazione: è quindi pacifico sostenere che, trascorsi oltre 10 anni dalla convalida del primo blocco, la criptovaluta numero uno per capitalizzazione di mercato, di strada ne abbia fatta. Tuttavia, questo percorso non è stato semplice: c’è stata elevata volatilità in questi anni, che caratterizza questi tipi di mercati, almeno fino a oggi. Nel 2017, esattamente il 15 dicembre, bitcoin sfiorò i 20mila dollari, per poi apportare una correzione significativa nei giorni successivi.

Se si analizzano i dati di Google Trend, è chiaro che si trattò di una bolla: proprio in quei giorni ci fu una ricerca massiva della criptovaluta da parte di utenti sparsi in tutto il mondo.
Questo ha comportato un volume di acquisti elevati, che ha quindi creato una fomo (fear of missing out), quindi tutti o quasi, volevano acquistare bitcoin.
Le whale, ovvero i soggetti che detengono un gran numero di btc nel proprio wallet, liquidarono le loro posizioni in poco tempo, traendo enorme profitto, a scapito degli utenti dell’ultimo momento. La maggior parte di questi ultimi, liquidò, in perdita, ovviamente: è bene precisare però che alcuni, credendo fermamente nella tecnologia blockchain, decisero di “holdare”, quindi continuare a detenere criptovaluta, fiduciosi di un futuro roseo.

Col senno di poi, possiamo sostenere che questa minoranza ha avuto ragione, importante è però determinare quali fattori abbiano portato btc ai valori attuali: a novembre 2020 c’era stato un rialzo significativo, in molti si chiedevano se fosse in corso una bull run, oppure se, di nuovo, fosse solo una bolla. Sin da novembre, c’erano dei segnali del fatto che la situazione attuale fosse ben diversa da quella del 2017, complice anche una pandemia mondiale che, in generale, ha fornito un boost alla tecnologia: in pochi mesi si è verificato ciò che sarebbe accaduto in anni.
Quest’ultima ha determinato una situazione in cui vari Stati, gli USA tra i primi, hanno deciso di intervenire con aiuti economici, come sta accadendo con Biden, immettendo grandi volumi di liquidità nell’economia, stampando moneta: ciò determina una potenziale inflazione, in quanto il dollaro USA perde valore, come sta accadendo da diversi mesi. Satoshi Nakamoto, nel white paper di bitcoin, si era preoccupato di illustrare che il sistema sottrae la possibilità di stampare moneta a chiunque, anche alle banche centrali: tutto è decentralizzato, gli utenti che convalidano le transazioni e creano nuovi blocchi, ricevono una ricompensa in bitcoin.
Il punto cruciale è che quest’ultima è inversamente proporzionale rispetto al tempo: in altri termini, ogni 210 mila blocchi (4 anni circa), la ricompensa è dimezzata: attualmente è di circa 6 bitcoin, nel 2024 sarà di circa 3, secondo questo meccanismo, definito “halving”.

Sulla base di queste dinamiche, già dal 2020, alcune enormi società, tra le quali qualche istituzionale, ha deciso di diversificare il proprio portafoglio, acquistando criptovaluta.
GrayScale, Mutual e PayPal sono solo alcuni dei nomi che hanno contribuito ad aumentare il valore di questo asset digitale. Come se non bastasse poi, l’ormai celebre PornHub, in lite con Visa e Mastercard, ha abilitato transazioni in bitcoin.

Altrettanto rilevante è una seconda considerazione: a metà gennaio c’è stata una correzione importante del prezzo, in pochi giorni dai 42 mila dollari toccati si è giunti sotto i 30 mila.
Glassnode è un portale online che mostra i dati on-chain, i quali indicano che in quei giorni enormi quantità di btc sono stati liquidati dalle whale, determinando prima una forte diminuzione del prezzo, subito dopo il panic selling, che quindi ha colpito i retail (piccoli investitori), veri bersagli delle balene: la maggioranza di questi ultimi ha liquidato i propri btc, facendo il gioco delle balene.
I dati dimostrano che quei btc venduti dai retail, siano stati in pochi giorni riacquistati massivamente dalle whale, a un ottimo prezzo: i bitcoin, in altri termini, hanno transitato in pochi giorni dai wallet dei retail, a quelli delle balene.

Queste considerazioni fotografano una situazione nella quale, se è vero che l’asset digitale più noto al mondo è oggetto di ampia speculazione, è altrettanto vero che, per come è stato concepito, per l’immutabilità del codice informatico e degli algoritmi matematici, assume la forma, in questo specifico momento, di un bene rifugio. Ci si affida alla decentralizzazione, e alle scienze esatte, prive di emozioni e valutazioni, a differenza dell’essere umano: questa è una delle logiche alla base del paper di Nakamoto, quindi della blockchain in generale.

Non bisogna mai dimenticarsi che quest’ultima è la tecnologia madre, utilizzata anche da altre criptovalute.

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Ethereum

ETH è la seconda crypto per marketcap, ormai nota perché la sua blockchain offre la possibilità di regolare rapporti tra le parti, attraverso i cosiddetti smart contract.  Quindi, se Ethereum è paragonabile a un motore, gli ETH sono la benzina.
I problemi che ha avuto questa blockchain negli ultimi anni riguardano:

  • elevato numero di transazioni;
  • eccessivo dispendio energetico;
  • eccessiva onerosità delle transazioni.
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Questi tre fattori sono riconducibili al meccanismo di consenso alla base di Ethereum, ovvero la PoW: per questo motivo Vitalik Buterin, fondatore, ha inaugurato la fase 0, il 1° dicembre 2020, di quella che sarà la trasformazione in un meccanismo PoS.

Per validare le transazioni quindi, non è più necessario un elevato consumo di energia elettrica: è sufficiente che una moltitudine di utenti abbiano congelato un sufficiente numero di token per convalidare transazioni: chi mette in staking le proprie cripto, lo fa ovviamente perché nutre interesse a che la blockchain sia sempre stabile e sicura.
È importante ribadire che gli utenti validatori, che hanno aderito a Ethereum 2.0, sono più di 16mila: ciò per garantire la decentralizzazione, in quanto pochi utenti validatori condurrebbero la blockchain a essere centralizzata o quasi, rendendo quasi inutile, in questo ambito, la sua funzione.
Circa la velocità, dalle 30 transazioni al secondo, si passerà, nella fase definitiva, a circa 100mila, grazie a delle chain parallele, definite shard chain, che consentono più transazioni simultaneamente. Attualmente i blocchi sono disposti in modo consecutivo, non parallelo. Questo incide evidentemente sull’architettura della blockchain stessa di Ethereum. Ciò comporterà una maggiore scalabilità e un’esperienza più fluida complessivamente.

Con queste premesse, è importante sottolineare come un buon esito di questo upgrade possa determinare un aumento del valore di Eth: è curioso vedere come, se nel 2017 quest’ultimo sfiorava i 1.400 dollari, mentre btc sfiorava i 20mila, nel 2021 non si è riprodotto questo scenario: l’all time high di eth è stato raggiunto recentemente e sembra non volersi fermare.
I complici sono questo aggiornamento in corso e un’attenzione sempre maggiore intorno alla DeFi (decentralized finance).
In conclusione, il 2021 sembra essere un ottimo anno per la blockchain, l’anno in cui potrebbe iniziare a consolidarsi, tant’è che le banche e alcune importanti aziende stanno sviluppando le proprie tecnologie su di essa.

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