
Il dibattito sull’utilizzo e sul valore delle criptovalute è quanto mai vivo e come in tutte le innovazioni che presentano tanto un impatto profondo a livello sociale quanto a livello di business si guarda con estrema attenzione ai possibili “use case” e all’atteggiamento dei principali attori. Sul tema delle cryptocurrency l’atteggiamento della magistratura è quanto mai importante, anche perché le questioni legate alla regolamentazione e più in generale della governance, possono abilitare o al contrario scoraggiare nuove opportunità di sviluppo.
Proprio per portare un esempio concreto di un possibile utilizzo delle cryptocurrency e dell’atteggiamento della magistratura Blockchain4Innovation ospita il contributo di Tamara Belardi, Legal Advisor in Blockchain Projects, TEDx Speaker e consigliere presso Bitcoin Foundation Puglia, con l’analisi del caso relativo alla proposta di aumento di capitale sociale di una impresa in criptovalute.
La vicenda
Lo scorso 18 luglio il Tribunale di Brescia, con decreto n. 7556/2018, ha rigettato il ricorso di un Amministratore unico di S.r.l. avverso il rifiuto del Notaio di iscrivere nel Registro delle Imprese la delibera di aumento del capitale sociale; aumento liberato attraverso conferimenti in natura, costituiti in parte da criptovalute e in parte da opere d’arte.
Segnatamente, il Tribunale ha ritenuto la criptovaluta del caso di specie priva delle caratteristiche fondamentali di cui deve essere dotato “qualunque bene adatto al conferimento”: valutabilità economica in un dato momento storico; esistenza di un mercato che ne attesti il grado di liquidità (cioè la velocità di conversione in denaro contante); e idoneità del bene ad essere “aggredito” da parte dei creditori sociali, cioè ad essere oggetto di esecuzione forzata.
Il Collegio, pur non ponendo in discussione l’astratta idoneità delle criptovalute ad essere oggetto di conferimento, si è soffermato sulla valutazione della sussistenza in concreto del requisito di cui all’art. 2464, co. 2 c.c., a norma del quale i conferimenti devono essere suscettibili di valutazione economica.
Al riguardo, è stata accertata l’inattendibilità dei prezzi e l’autoreferenzialità della criptovaluta oggetto di conferimento, in quanto la stessa non sarebbe presente sui principali mercati di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, ma sarebbe utilizzata nell’ambito “assai ristretto” di una sola piattaforma (riconducibile, tra l’altro, agli stessi ideatori della criptovaluta).
Ciò ha portato il Tribunale a ritenere la perizia di stima, redatta ai sensi dell’art. 2465 c.c., non sufficientemente completa ed affidabile, poiché priva sia di criteri di valutazione oggettivi, sia di indicazioni sulle modalità di esecuzione di un eventuale pignoramento delle criptovalute conferite.
È stato, così, affermato il principio di diritto secondo cui: “Una moneta virtuale ancora in fase sostanzialmente embrionale (la [cui] quotazione…sulle principali piattaforme di conversione sarebbe un progetto [ancora] in cantiere) non presenta i requisiti minimi per essere assimilata a un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile”.
Il commento
La vicenda in esame ruota intorno ad una serie di principi cardine della disciplina dei conferimenti.
Primi fra tutti: il principio dell’effettivo valore economico del conferimento e quello dell’effettiva acquisizione dello stesso; principi il cui postulato è costituito dalla c.d. “funzione “storica” primaria del capitale sociale, in chiave di garanzia nei confronti dei creditori”.
Quanto all’effettivo valore economico del conferimento, occorre evidenziare come l’orientamento restrittivo adottato dal Collegio garantisca innanzitutto ai creditori sociali un elevato grado di tutela.
In particolare, nel decreto in commento si stabilisce un rapporto di diretta proporzionalità fra l’effettivo valore del conferimento e l’esistenza di un mercato di scambio dello stesso.
Quest’ultimo, tuttavia, non dovrebbe, da solo, rappresentare la cartina al tornasole per testare la validità di un “progetto”.
A parere di chi scrive, tale criterio di valutazione andrebbe coordinato anche con altri elementi (ad esempio, si potrebbe analizzare il protocollo di base o la percentuale di criptovaluta detenuta dagli ideatori della stessa).
Passando al principio dell’effettiva acquisizione del conferimento, l’Amministratore della Società afferma, nel suo ricorso, che il trasferimento della disponibilità delle criptovalute in capo alla Società debba considerarsi avvenuto con la “messa a disposizione delle credenziali (“transaction password”) da parte del socio conferente”.
Ed infatti è sufficiente comunicare la transaction password al destinatario per effettuare la “traditio” (la consegna) della criptovaluta.
A testimoniare l’effettiva presenza (e consistenza) del conferimento in criptovaluta vi sarebbe, inoltre, la stessa Blockchain.
Di conseguenza, non si spiegherebbero i dubbi – presenti nella nota del Notaio – circa tale aspetto.
Il principio da ultimo citato, inoltre, assume particolare rilevanza nelle ipotesi di pignoramento del bene conferito.
Tale problema viene evidenziato anche dal Tribunale nella parte finale del decreto di rigetto, in cui attesta “l’esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico che potrebbero, di fatto, renderne impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore”.
La questione, tuttavia, parrebbe essere solo teorica, atteso che, in concreto, finora, nessuno si è mai rifiutato di collaborare con l’Autorità giudiziaria (v. caso “BitGrail”).
Ai principi sin qui descritti si affianca, infine, quello della materialità del bene conferito.
Il Tribunale di Brescia, pur tenendo presente l’interpretazione “in senso giuridico-contabile e non già materiale” della funzione di garanzia del capitale sociale, evidenzia la dimensione immateriale delle criptovalute, decretandone l’inidoneità a costituire “bersaglio” dell’aggressione dei creditori sociali”.
Ad onor del vero – come afferma lo stesso ricorrente – “se possono costituire oggetto di conferimento sia i crediti sia taluni beni immateriali” – come i diritti di proprietà industriale, “non vi sarebbe ragione per escludere la liceità del conferimento delle criptovalute”.
Al riguardo, anche la Giurisprudenza ha da tempo affermato – e di recente confermato – in tema di compensazione tra il credito del socio verso la società e il debito originato dalla sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, che “l’oggetto del conferimento da parte del socio non deve necessariamente identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica” (Cass. n. 3946/2018; n. 4236/1998; n. 936/19996).
Alla luce di quanto precede, quindi, è possibile affermare come il nocciolo della questione stia tutto nell’individuazione della natura giuridica delle criptovalute.
A tale domanda il Tribunale di Brescia risponde indirettamente nella parte del decreto in cui afferma che “non è in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle c.d. ‘criptovalute’ a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l.”.
Sembrerebbe, quindi, che le criptovalute rappresentino una particolare categoria di beni immateriali che, in linea di principio, potrebbero essere idonei ad essere conferiti nel capitale sociale di una società.
Nel caso in esame però la criptovaluta non aveva una diffusione ed utilizzo tali da poter essere suscettibile di una valutazione economica certa. In considerazione di ciò, e sulla base della funzione di garanzia del capitale sociale nei confronti dei creditori, il Tribunale ne ha quindi negato la conferibilità.