Uno sguardo al passato per capire le prospettive delle STO

Un contributo di Giovanni Perani per capire le prospettive legate alla diffusione di Security Token Offering in un viaggio nel passato che permette di valutare le differenze con Initial Coin Offering e con Initial Public Offering

Pubblicato il 30 Mar 2019

Giovanni Perani

Al fine di comprendere quale futuro possano avere le STO (Security Token Offering) credo che siano utili un excursus sulla breve storia della tecnologia blockchain e qualche nota sul principio di “token”. La blockchain technology ha fatto la sua comparsa alla fine del 2008. Volendo fissare una precisa data di compleanno potremmo indicare il 3 gennaio 2009, quando venne creato il primo blocco di Bitcoin, il “Genesis Block”, alle ore 18.18 (per maggiori indicazioni) Da quel momento in poi su quel mercato – che allora era il corrispettivo di un nascosto mercatino rionale, frequentato da qualche millennials e qualche appassionato di tecnologia – si avviano timidamente i primi scambi, di cui rimane il famoso ricordo di una pizza acquistata per 10.000 Bitcoin (per maggiori indicazioni).

Nel giro di poco tempo si estende a macchia d’olio. Compaiono i primi market internazionali e insieme si palesano anche i primi sostenitori, i primi detrattori e i primi “furbi”: siamo nel 2010. Il 3 ottobre 2013 l’FBI chiude il famoso mercato online Silk Road, il “mercato nero” del web (per maggiori indicazioni).

La nascita di Coinbase, il primo exchange di criptovalute

Tra picchi e abissi l’oscillazione continua, ma nel gennaio 2015 apre a San Francisco l’azienda Coinbase, il primo exchange statunitense di criptovalute controllato e regolamentato. Oggi questo exchange non scambia solo i Bitcoin ma anche token, cioè gettoni d’impresa venduti sul mercato a un determinato prezzo. In molti Paesi, infatti, sull’onda dell’innovazione tecnologica della blockchain sono sbocciati innumerevoli progetti, frutto essenzialmente di un nuovo tipo di aggregazione di persone, disposte ad aderire a progetti innovativi che finanziano al puro scopo della partecipazione o, più spesso, dell’investimento/guadagno.

Ma torniamo alla cronologia. Siamo nel luglio 2013, sono trascorsi quattro anni dalla nascita del Genesis Block di Bitcoin e Mastercoin mette a segno una raccolta di 500.000 dollari tramite la prima offerta di vendita al pubblico, propriamente detta crowdsale (Per maggiori indicazioni). Un anno dopo, attraverso lo stesso sistema di raccolta, la startup Maidsafe raccoglie la cifra record di 6 milioni di dollari in sole cinque ore (Per maggiori indicazioni) Luglio 2014: Ethereum lancia la sua ICO e raccoglie 18,4 milioni di dollari.

La capitalizzazione di mercato

Alla fine del 2015 si registra il dato incredibile della capitalizzazione di mercato di 7.915.780.000 dollari, il che ci permette di comprendere quale portanza abbia la nuova tecnologia della blockchain e con quale potenza di sfondamento metta le radici, in assoluta mancanza sia di regolamentazione ufficiale sia di sponsorizzazione e, quello che è peggio, senza alcuna garanzia.

Dato un presupposto X, infatti, la blockchain garantisce unicamente da lì in poi le azioni conseguenti e i contratti registrati in modo implicito. Accertato che la sua “vulnerabilità” sta nell’agnosticismo a priori, sarà solo quando si verificherà compenetrazione tra le premesse legittime del nostro mondo e tale infrastruttura veicolante le certificazioni che essa verrà adottata in moltissimi campi, con effetti man mano crescenti e destinati a trasformare a 360° gradi la nostra società. Ripetiamo, però, che a oggi le premesse non sono valutabili con un criterio di merito aprioristico.

Che cos’è un’ICO (Initial Coin Offering)

Per spiegare che cosa sia un’ICO possiamo dire, semplificando, che le startup, ma non solo, rendono pubblico un proprio progetto – chiamiamolo “mission” – su alcune piattaforme online: la sua realizzazione, ovvero lo sviluppo economico dell’idea e la trasformazione della mission in azienda/prodotto, implica la necessità di un finanziamento.

Immaginiamo che, invece di acquistare azioni di una società che decide di quotarsi in borsa, a tutti gli utenti – assistiti dalla certificazione della blockchain – sia data la possibilità di acquistare a prezzi di saldo gettoni di un’impresa che presenta un suo innovativo progetto. Non esistono procedure standard ma, in genere, viene presentato in rete il dettaglio (white paper) del progetto stesso e si chiede una sorta di “colletta” o di crowdfunding; i soggetti terzi che aderiscono sono chiamati a sottoscrivere online un versamento iniziale libero, normalmente in Bitcoin o Ethereum, che consenta l’avvio dell’operazione. Relativamente alla prima fase delle ICO si parla di crowdsale perché il prezzo d’acquisto della partecipazione è molto competitivo.

Dunque, lo scopo delle startup legate alla blockchain technology è creare liquidità per conseguire il raggiungimento degli obiettivi prefissati ma, anziché emettere titoli, esse emettono gettoni di partecipazione, che hanno un proprio nome spesso derivato da quello della ICO stessa: sono questi i “token”, i quali rappresentano un potenziale valore di partecipazione in relazione al versato.

Il ruolo della blockchain nelle Initial Coin Offering

La sottostante tecnologia blockchain certifica il passaggio e il possesso dei token in modo inconfutabile. A chiusura della ICO, con il successo della raccolta minima iniziale, i gettoni token d’investimento vengono quotati nel listino cambio criptovalute sulle varie piattaforme, dove incontreranno il libero mercato.

L’ambito delle ICO abbraccia una quantità considerevole di progetti, anche molto diversi tra loro. Premesso che l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) ha distinto tre categorie generali di ICO, cioè di pagamento, di utilizzo e di investimento, ne deriva che possiamo distinguere allo stesso modo anche tre tipologie generali di token, per quanto, a volte, i confini siano sfumati.

Una volta chiusa la ICO, i token si trasformano in criptovaluta, e questo accade nel momento in cui essi accedono al borsino degli exchange. Gli investitori saranno liberi di mantenere la propria quota acquisita in anticipo, di venderla oppure di scambiarla con altri investitori.

Tuttavia, è possibile che il progetto si risolva in un fuoco di paglia e in questo caso gli investitori possono perdere in parte o totalmente il valore del proprio finanziamento.

Secondo un report pubblicato il 19 ottobre 2018 da EY, che ha preso in esame le principali ICO del 2017, il bilancio nei grandi numeri è impietoso (per maggiori indicazioni) . Il rapporto esamina 141 progetti che, nel loro insieme, rappresentano l’87% dell’intero capitale raccolto nel corso di quell’anno: l’86% vale meno del prezzo iniziale e circa il 30% ha perso sostanzialmente il valore.

Tokendata, uno dei tracker di ICO più completi, riporta che lo scorso anno vi sono state 902 crowdsales e di queste 142 sono fallite già allo stadio di finanziamento e altre 276 sono fallite in una fase immediatamente successiva, a causa di progressivo e lento oblio oppure perché si sono rivelate delle truffe (per maggiori indicazioni).

Una storia ricca anche di “bufale”

Esistono alcune truffe che vale la pena di ricordare, affinché tutti possano imparare la lezione.

Il caso Benebit

Benebit è l’esempio perfetto di come sia facile abbindolare migliaia e migliaia di investitori utilizzando solamente una buona idea unita a un design accattivante. L’ICO di Benebit sembrava davvero essere un progetto serio e affidabile.

Benebit voleva creare un unico sistema di fidelizzazione per clienti, una sola piattaforma per fondere sistemi differenti: un progetto mai visto prima e che aveva delle potenzialità. Il sito di Benebit era davvero ben fatto: intuitivo, con un design e grafiche impeccabili, ricco di informazioni, con un whitepaper molto dettagliato.

Il team di Benebit affermava di aver speso circa mezzo milione di dollari in marketing ed era molto attivo nei social (avevano un canale Telegram seguito da 9000 follower). Insomma, una “recita” perfetta finché qualche utente si è accorto che i profili Linkedin presenti sulla pagina di presentazione del team erano falsi, creati ad hoc e corredati di foto prelevate da un sito gratuito di immagini. Inoltre alcune persone assunte da Benebit per gestire la community scoprirono la falsificazione dei passaporti forniti dagli sviluppatori di Benebit per i pagamenti. In breve tempo i truffatori che avevano ideato Benebit scomparvero, e con loro scomparve il bottino raggranellato in quei mesi.

L’ICO-truffa di Benebit dimostra che non basta imbattersi in una buona idea per essere certi di trovarsi davanti a un progetto valido. Internet, strumento meraviglioso, può d’altra parte offrire un alto livello di anonimato e vasto raggio d’azione a potenziali truffatori.

Il caso Ponzicoin

La ICO-truffa di PonziCoin è la riprova di quanto il mercato delle criptovalute sia attrattivo per grandi numeri di investitori alle prime armi e che è necessario proporre e attuare una regulation in tempi brevi.

La prima truffa nata sotto il nome di PonziCoin ha colpito nel 2014 e ha sottratto dalle tasche degli utenti circa 7000 dollari in Bitcoin. Una quota che oggi varrebbe una fortuna.

A fine 2017 è nata una nuova ICO di PonziCoin: si trattava solo di uno scherzo, ideato da uno sviluppatore che, in ogni pagina del relativo sito internet, aveva palesato a chiare lettere la sua intenzione e il fatto che gli utenti non avrebbero mai ottenuto indietro il loro investimento. Prima di confermare un versamento appariva addirittura una schermata in cui si dichiarava letteralmente che si stava investendo in una truffa e non in un’ICO reale.

Non è stato ancora del tutto chiarito come sia finita la faccenda, ma l’ICO di PonziCoin ha raccolto circa 250.000 dollari. La situazione era sfuggita di mano allo sviluppatore, il quale ha chiuso il sito, ha ribadito che la sua intenzione iniziale era di dar vita a un mero scherzo e ha dichiarato di aver bloccato tutti i wallet nei quali aveva ricevuto gli investimenti, che sarebbero stati restituiti ai legittimi proprietari. Ma non si ha certezza che questo sia avvenuto davvero.

Sono sufficienti questi due esempi per capire il grado di anarchia dell’intero sistema: nessuna regulation, dunque nessuna garanzia.

Seppure non sia vero che tutti i progetti lanciati con il sistema delle ICO siano riconducibili a truffe o prodotti inconsistenti, tuttavia pochi sono stati finora quelli di un certo profilo. Ciò che costituisce la fragilità di tale sistema è che la portanza degli oggetti d’investimento che propone è completamente sganciata dalla concretezza di un valore riconosciuto e oggettivo, e normativamente tutelato. D’altra parte, le difficoltà nell’avvio di un’ICO sono minime perché fino ad oggi esse hanno potuto eludere alcuni quadri giuridici, non avendo obbligo di registrazione né di adeguamento agli standard della rigida governance di regolamentazione, potendosi per contro candidare del tutto liberamente nel mercato del web.

STO e IPO a confronto

Nel confronto tra STO e IPO è importante portare l’attenzione su alcuni punti chiave. È prima di tutto fondamentale comprendere che un token prodotto dalle neonate Security Token Offering, rappresentativo di uno strumento finanziario, abbia alle spalle una risorsa reale. In questo modo il certificato d’accesso viene garantito da un oggetto concreto e solo di seguito trasferito in modo parcellizzato sulla filiera blockchain. Ecco che dunque il connotato di agnosticità a priori è superato.

Le STO rappresentano una sorta di contratto d’investimento, indifferentemente che si tratti, per esempio, di azioni, obbligazioni o fondi di investimento immobiliare; il token, a sua volta, è a tutti gli effetti uno strumento che incarna un qualche tipo di valore monetario che lo rende uno strumento finanziario negoziabile e fungibile. In una parola, identifica in modo certo e immutabile la certificazione delle informazioni inerenti la proprietà del prodotto di riferimento tramite la tokenizzazione, che avviene con la registrazione del contratto su tecnologia blockchain.

Il potere di trasferire valore e la natura di titolo rappresentativo

Il sistema contiene in sé due elementi, cioè il potere di trasferire valore, e dunque denaro, e la natura di titolo rappresentativo di una quota finanziaria. In qualche modo, attraverso la tokenizzazione, viene applicato lo stesso principio della cartolarizzazione, (per la definizione si veda qui) che permette questa magia di traslazione su titoli.

Così come le IPO (Initial Public Offering) offrono agli investitori dei titoli societari spendibili sui mercati tradizionali, nello stesso modo le STO si riferiscono a un bene riconosciuto e riconoscibile dal mercato. La vera novità che introducono è il fatto che l’archiviazione, anziché viaggiare su certificazione tradizionale, viaggia su tecnologia blockchain, il che consente la possibilità di frazionamento per tokenizzazione, applicabile a qualsiasi bene che possa generare profitto: fondi d’investimento, proprietà immobiliari e, perché no, anche opere d’arte.

La proprietà frazionata aumenta la trasmissibilità dei prodotti finanziari

Rispetto alle IPO, inoltre, la struttura delle STO è più snella. Sostenuti i costi iniziali di adeguamento alla normativa e superato il vaglio di tutti i professionisti del caso, in modo da accertare la fruibilità nel mondo finanziario, il sistema della blockchain offre tutte le garanzie di certificato temporale e autentico a un vastissimo panorama di investitori indipendenti, con accesso immediato e frammentato e perciò senza le commissioni onerose dovute agli intermediari che fino a ieri maggioravano inevitabilmente i costi. La proprietà così frazionata aumenta in modo esponenziale la trasmissibilità dei prodotti finanziari 24 ore su 24, e questa modalità, una volta che sarà sdoganata, potrebbe costituire una buona spinta propulsiva per le economie. Ma per una vera emersione del mercato delle STO l’unico vero elemento necessario è il riconoscimento univoco e universale.

La nostra società scambia valori sulla base di condivisioni acclarate: senza un riconoscimento comune e collettivo, senza che l’oggetto finanziario diventi univocamente riconoscibile non vi è essenza condivisibile. È per questo motivo che, seppure le caratteristiche delle STO sembrino promettenti, la strada che deve essere percorsa è quella del riconoscimento da parte dell’ente regolatore, ovvero l’autorità giurisdizionale. Questa è l’unica via, anche se ancora non tutti i Paesi dimostrano la medesima consapevolezza e condividono la stessa prospettiva.

Gli esempi di Neufund e di Token Market

Ci sono però alcuni segnali positivi: Neufund (per maggiori indicazioni leggi qui) è una piattaforma che intende emettere security token sul mercato tedesco e, in collaborazione con BaFIN (suggeriamo anche la lettura di nostro servizio Security token offering, in Germania la prima emissione “ufficiale” per l’Europaqui) ha stabilito alcune linee guida con l’intenzione di creare un servizio sì innovativo, ma anche trasparente (Leggi qui per avere maggiori informazioni). Analoga direzione per Token Market, (leggi qui per maggiori info)  che muove i suoi passi dal Regno Unito (per maggiori indicazioni leggi qui) .

Proprio in Inghilterra, nel gennaio 2019, la FCA (Finantial Conduct Authority) ha pubblicato un importante documento che fissa tre tipologie di token: token di scambio, token di utilità e token di sicurezza. Riguardo quest’ultimi, per esempio, la Repubblica di San Marino ha pubblicato un decreto che stabilisce i confini normativi inerenti la tecnologia blockchain (leggi il nostro servizio San Marino, al via il nuovo Decreto Blockchain: più chiarezza normativa e benefici fiscali e qui)

Conclusioni: si sono aperte le porte a una nuova forma di “interazione d’investimento finanziario”

La storia passata, al di là dello scoppio della bolla speculativa dovuta all’euforia collettiva, ha fatto emergere alcune evidenze potenzialmente positive: da un lato l’apertura a piccoli investitori autonomi ha significato un mercato totalmente nuovo e tale mercato, una volta garantito dalla blockchain, ha spalancato le porte a una nuova forma di “interazione d’investimento finanziario”, inaugurando così una nuova era economica. Dall’altro lato la tecnologia blockchain ha dimostrato la sua assoluta portanza strutturale nel porre le garanzie di proprietà e di trasferimento.

Ciò che invece non può fare la blockchain è invece la garanzia delle premesse, perché è una tecnologia formidabile ma agnostica: l’incipit della filiera deve essere per sua stessa natura concreto, solido e verificato, e solo da lì in poi la tecnologia ne garantirà e ne certificherà i passaggi.

Questo vale per qualsivoglia ambito legato alla blockchain, come d’altronde è stato anche per qualsivoglia certificato ab origine della nostra storia.

La direzione di una regolamentazione è già stata imboccata da diverse nazioni e verosimilmente il loro esempio consentirà la creazione di nuovi e positivi paradigmi di economia finanziaria legati alle modalità della blockchain.

Non resta che aspettare.

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