Blockchain, rotta verso la sharing economy

L’avvento della sharing economy nell’attuale fase storica facilita il ruolo di una tecnologia come la Blockchain: che può giocare un ruolo in particolare nell’economia circolare

Pubblicato il 15 Ott 2018

sharing economy Blockchain

Credo che, attualmente, la premessa fondamentale per qualsiasi intervento che riguardi gli scenari futuribili legati alla blockchain technology passi dall’osservazione, peraltro scontata, che non dobbiamo mai considerare le realtà del presente come certezze immutabili. Il paradigma economico e sociale, così come la storia ci ha insegnato, è in perenne e invasivo mutamento, suscettibile di virate improvvise in presenza di conquiste tecnologiche efficienti. Il legame imprescindibile fra innovazione, economia, società e politica crea il coacervo di interessi disordinati dei vari attori in causa, che raggiungono di volta in volta dei compromessi, così disegnando lo scenario della società in cui viviamo. Credo che in questo momento, proprio adesso, ci si trovi al crocevia di un passaggio epocale.
Se si volta la testa indietro, lo sviluppo industriale ha creato inedite certezze solo ieri, ovvero quando il capitalismo è stato assunto ad archetipo del mondo globale.

Industria 4.0

L’evoluzione del capitalismo

Per Capitalismo si intende «il sistema economico fondato sull’impiego del capitale ‒ costituito da denaro e beni materiali ‒ allo scopo di sviluppare l’attività diretta alla produzione di beni e di fornire un profitto a chi tale capitale ha impiegato» (Dizionario Treccani).  Fermo immagine all’anno 1919: torniamo al momento in cui Conrad Nicholson Hilton, capostipite della famiglia Hilton, con la straordinaria spesa di 111 milioni di dollari ¬¬– allora la più onerosa transazione immobiliare di sempre ¬– acquisì l’Hotels Statler Company. Quella scintilla d’investimento di capitale, e più che di scintilla si trattò di un falò, diede l’abbrivio a un impero con interessi via via differenziati e che nel tempo divenne un colosso. Come in tutte le storie, l’impresa conobbe momenti di bonaccia e momenti di tempesta e, a un certo punto, una considerevole quota di partecipazione si collocò nella disponibilità di uno dei fondi di private equity più grandi del mondo, Blackstone.
Nel 12 dicembre 2013 gli alberghi Hilton debuttarono a Wall Street e l’IPO di Hilton Worldwide Holdings raccolse la cifra di 2,35 miliardi di dollari, un record nel settore alberghiero. Una vicenda, questa, figlia di capacità, coraggio e dinamiche del capitale o di beni materiali, che ha dato vita a una solida società alla quale alcuni investitori privati hanno avuto l’opportunità di accedere, aumentando in seguito la compartecipazione.

Il caso Airbnb

In un primo tempo, cioè solamente ieri, la globalizzazione ha dilatato i confini del potenziale mercato del capitalismo ma poi, in profondità, qualcosa è mutato. Le invenzioni tecnologiche legate al mondo di Internet e tutto ciò che ne è conseguito hanno cominciato a modificare i paradigmi: la connessione di più persone, senza intermediari di alcun tipo, è andata creando una sottile tela di ragno alla quale il mondo si è progressivamente connesso.
Altro fermo immagine, anno 2008: viene fondata Airbnb, un’altra storia affascinante e di straordinario successo. Tutto nasce dal trasferimento nella città di San Francisco di Brian e Joe (i due fondatori della società), i quali, avendo qualche difficoltà a pagare la pigione del loft in cui erano andati ad abitare, decisero di affittarne una parte in occasione di un’importante conferenza. Nel 2009 si consolidarono idea e progetto; a fine 2010 la società raggiunse il traguardo della prenotazione di 700 mila notti che, nel febbraio 2011, arrivarono al milione, con un incremento del fatturato del 65% rispetto al mese precedente. Una storia non più creatura del mondo del capitalismo puro – capitale e beni materiali –, bensì di una coraggiosa e ambiziosa visione della digital economy dei nostri tempi.
Mi riferisco al successo di Airbnb citando volutamente la digital economy, perché spesso sorge un equivoco di fondo che consiste nel pensare che ciò che è digital economy sia anche sharing economy, senza distinzioni. Pare che, nell’immaginario collettivo, l’economia sharing e quella digital siano facce di una stessa medaglia, quella medaglia da cui in generale ci si attendeva più giustizia e maggiore autonomia individuale e, soprattutto, da cui ci si aspettava il superamento del modello capitalistico, nello specifico in fatto di predominio.

In realtà il sistema capitalistico non è destinato a scomparire repentinamente, ma vedrà gradualmente ridotta la propria portanza, perché le cose non avvengono in un attimo ma emergono all’interno di un processo di trasformazione. Dunque uno degli orizzonti più plausibili è quello che vede la digital economy progredire nel suo sviluppo e, contestualmente, la vera sharing economy raggiungere la sua più fulgida maturazione in rapporto all’accrescimento della blockchain technology. In riferimento alla situazione attuale, direi perciò che sia più opportuno parlare di una fase di passaggio nella quale da una forma di predomino del capitalismo puro si è passati a una forma di “digital capitalismo” per mezzo dello sharing, reso portante dalla tecnologia e dalla connessione.

I tre principi alla base della Sharing economy

È opinione condivisa che la sharing economy debba incardinarsi su tre perni:
¬– condivisione, ovvero la possibilità di usare collettivamente una risorsa: nella community le persone hanno la possibilità di incontrarsi e creare un vantaggio reciproco in un rapporto di fiducia; lo scambio avviene peer-to-peer, sia che si tratti di beni, sia di tempo o di denaro;

piattaforma digitale, nuova agorà dove avvengono il contatto e la connessione, e dove diventa realizzabile il traffico di beni, di servizi e di esperienze abbattendo limiti geografici e privilegiando l’incontro su specifiche richieste e risorse, ottimizzando in tal modo gli scambi di mercato;

economia circolare, nell’ambito della quale la relazione gerarchica non è di tipo piramidale ma dove invece le sfere di finanziatore, produttore e consumatore risultano compenetrate e non frazionate (leggi anche questo servizio sulla circular economy: Digitale e sostenibilità: come le tecnologie 4.0 abilitano l’Economia Circolare).

Ed è proprio quest’ultimo requisito che, come credo, sarà reso possibile dalla tecnologia blockchain.
Se oggi una piattaforma raggiunge lo status di riferimento unico per un numero massiccio di aggregati i quali, di fatto, operano e lavorano grazie a quella stessa piattaforma, che li connette e li gestisce monopolisticamente ponendosi come terza parte traendo profitto, ciò significa che si opera su un terreno dove sfuma ed evapora il concetto di sharing economy. La potenza tentacolare che la piattaforma può raggiungere in breve tempo, data l’esiguità dei costi, mette a rischio il concetto di equità, creando una forma di “digital capitalismo” (leggi il servizio Dal Capitalismo al Digitalismo). Airbnb ha raffinato nel tempo alcuni algoritmi intelligenti che, con il progressivo aumento dell’offerta di case in affitto messe a disposizione da nuovi utenti, calibrano un ribasso costante dei prezzi medi di pigione; senza dire che questi algoritmi sono anche in grado di modellare il prezzo in base alla maggiore o minore richiesta durante l’anno (vacanze, fiere, eventi ecc.). Una dinamica cui difficilmente si può sfuggire.

La nuova economia dello sharing

Quando diventa difficile immaginare delle alternative, allora è possibile che gli effetti della situazione in essere vengano subìti. Ciò riguarda non solo il mondo degli affitti immobiliari, che in qualche modo è già privilegiato in partenza, ma pensiamo per esempio alla nascita di aziende come Glovo o Deliveroo e alla conseguente fumosità della linea di demarcazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, in un limbo di eterno precariato che non prevede alcuna forma di diritto.
Perciò, se intendiamo dipingere un mondo perfettibile con gli strumenti a nostra disposizione, si potrebbe forse immaginare un sistema capillare basato sulla blockchain, cioè un sistema che possa contare su una connessione autonoma. Il problema della fiducia potrebbe essere superato dai feedback e tramite contratti intelligenti, e inoltre potrebbe venire garantito dalla tracciabilità delle informazioni, certe e immutabili proprio grazie alla blockchain. Con un po’ di lungimiranza e grazie alla nuova economia dello sharing, dunque, non è arduo prefigurare la creazione di un servizio sì in qualche modo analogo a quello offerto dalle piattaforme operanti oggi nel sistema della digital economy e, però, con la peculiare caratteristica di essere scisso da un “padrone” di riferimento, cioè completamente open source.

Il caso BlaBlaCar

Spostiamo la prospettiva sui trasporti: BlaBlaCar, nata nel 2006 in Francia, originariamente è stata pensata con la mission di dar vita a una piattaforma di utenti che, opportunamente registrati, potessero entrare direttamente in contatto fra loro per condividere un viaggio su un’unica auto, mettendo così in atto la pratica del car pooling. Un successo incredibile e con un riscontro straordinario, che a oggi si calcola in 25 milioni di utenti in ventidue Paesi del mondo. In seguito a un passaggio di proprietà, però, la politica aperta della piattaforma è andata mutando il suo spirito iniziale, con non poco disappunto di gran parte degli iscritti: in alcuni Paesi, infatti, è stato varato un sistema di pagamento di una commissione alla piattaforma, prima gratuita, eliminando così il contatto diretto fra conducente e passeggero.

La blockchain e l’Era dell’Accesso

In riferimento a quest’esempio dobbiamo constatare come il servizio erogato fosse efficiente ed efficace anche prima della concentrazione in una forma piramidale di organizzazione e che, sebbene non abbia avuto effetti sull’operatività del sistema, il mutamento ha comunque tradito quel principio di “era dell’accesso” così ben descritta dall’economista statunitense Jeremy Rifkin.
Di nuovo dobbiamo supporre che l’innesto della blockchain sia in grado di derubricare i monopoli, anche di tipo digitale, consentendoci l’approdo a un nuovo modello economico, più libero e flessibile. E che i tempi siano maturi per un’ulteriore trasformazione del contesto tecnologico ed economico, adesso passibile di intrecciarsi con un inedito approccio culturale proprio in virtù della blockchain.
Le alternative potrebbero essere – anzi crediamo che saranno – di rapida creazione.
Riprendendo l’esempio del mondo immobiliare degli affitti va sottolineato che, al momento, alcune start up stanno già elaborando un’alternativa tramite la raccolta fondi con Initial Coin Offering (ICO) e proprio per mezzo della tecnologia blockchain. L’obiettivo è una piattaforma digitale con struttura orizzontale completamente democratica e accessibile a titolo gratuito. A tutelare ospiti e proprietari, nel rispetto totale della reciproca fiducia, verranno stipulati degli smart contracts. Un criterio di profonda trasformazione, tanto concreta in quanto supportata dalla fiducia espressa dagli investitori che, aderendo alla chiamata di partecipazione.
Non resta che aspettare, auspicando che la sharing economy diventi una struttura tangibile della nostra società e che generi un mondo anche appena migliore dell’attuale, cosa che altro non è se non l’obiettivo più nobile della comunità intesa nel senso lato del termine.

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